Convincere in poche righe, a volte con una sola frase: il mestiere del copywriter è più complesso di quanto sembri. In Italia la sua figura resta poco nota, se non negli ambienti di settore. Eppure dietro i messaggi pubblicitari con cui internet, i social e la tv tentano di catturarci, c’è sempre lui.

In occasione della giornata mondiale del copywriter, ecco 5 falsi miti da sfatare su questa professione.


1. Copywriter e content writer sono sinonimi

No. Se le pronunci di seguito sembrano parole identiche, ma nonostante chi faccia copywriting spesso si occupi anche di content writing, le due attività sono diverse.

Un content writer ha il compito di scrivere testi che sappiano informare il pubblico e metterlo a conoscenza delle caratteristiche di un brand. Si potrebbe definire “un giornalista della pubblicità” (ma attenzione a non confonderlo con il brand journalist che fa tutt’altro) e rappresenta una voce chiara ed autorevole volta ad orientare il consumatore. Spesso scrive articoli di approfondimento di settore, testi istituzionali, comunicati stampa e presentazioni aziendali.

La scrittura del copywriter invece, non ha la finalità di istruire, bensì di persuadere. Attraverso strategie creative, giochi linguistici ed un confronto costante con il visual, crea messaggi pubblicitari che invoglino il pubblico a compiere un’azione.

Nel marketing moderno, le famose CTA (Call To Action) non sono più un semplice invito all’acquisto, ma un modo per creare conversioni e raccolte di contatti (lead generation). Le azioni che gli utenti sono invitati a svolgere, spaziano dall’iscrizione a newsletter al download di materiali informativi; dalla compilazione di form anagrafici alla visione di video online; e molto altro. Una Call To Action progettata da un bravo copywriter risulta convincente, intercetta la navigazione dell’utente, suscita curiosità e senso d’urgenza.

“Just do it” o “Think different”: vi dicono qualcosa?

2. Per fare il copywriter basta saper scrivere bene

Saper scrivere bene e in modo creativo resta la condizione fondamentale, ma è un punto di partenza.

Del resto, se nell’ambito della scrittura esistono diversi mestieri (giornalista, scrittore, editor, ecc.) e diversi settori, un motivo ci sarà. Penna alla mano, un pubblicitario e un autore di narrativa possono essere entrambi fuoriclasse della scrittura. Ciò che cambia è il linguaggio, lo stile, l’approccio al lettore: in poche parole, cambia la finalità per cui scrivono. Non solo: se uno scrittore può permettersi di usare termini altolocati e poco comuni, o di occupare pagine e pagine di testo, un copywriter no.

Comprare un libro significa aver già svolto un’azione, il copywriter interviene molto prima. Il suo messaggio deve essere comprensibile a tutti e condensato in poco spazio. Anche se la tentazione di un incipit in prosa lirica è forte, bisogna accantonarla.


3. Il copywriter è laureato in scienze della comunicazione

No, in Italia non esiste ancora un percorso di studi specifico per diventare copywriter.

Però è vero che molti dei migliori copywriter in circolazione sono laureati in lettere o scienze della comunicazione. In ogni caso, essendo corsi non finalizzati a questo tipo di formazione, da soli non bastano.

Un bravo copy deve avere anche nozioni di psicologia, marketing e neuromarketing, linguistica, comunicazione pubblicitaria, impaginazione e stampa.Per questo è importante attingere a studi paralleli, ma anche sviluppare una forte curiosità verso i cambiamenti sociali in atto. Poiché il suo compito resta quello di convincere le persone, un copy deve mantenere saldo il contatto con pubblici diversi, osservare come evolvono le loro abitudini e i loro gusti.

4. Un copy che scrive sul web deve gestire anche i social

Gestire i social network è una skill aggiuntiva, ma un copy non è tenuto a farlo.

I siti di annunci sono pieni di aziende alla ricerca di figure (stagisti e junior in primis) che si occupino della comunicazione digitale. I brand hanno capito che internet è un’arma indispensabile di promozione. Da allora molti professionisti della pubblicità hanno dovuto ampliare le proprie competenze e, ove ciò non è avvenuto, sono nate altre figure, come quella del social media manager, del digital strategist o del content manager.

Tutte queste professioni, spuntate nello stesso momento e in campi simili, hanno causato confusione tra coloro che operano in altri settori. Così le aziende cercano giovani che da soli sappiano scrivere testi per il web, gestire i social network, creare campagne Google Ads, ideare la grafica dei post e curare i rapporti con la stampa. Che è un po’ come se un ristoratore chiedesse al cameriere di portare i piatti, sostituire lo chef in cucina e suonare la chitarra tra i tavoli. Contemporaneamente.

5. Allora un copywriter può anche essere a digiuno di informatica

Assolutamente no. A meno che non abbia una carriera già avviata, oggi un copywriter poco digital difficilmente farà strada.

Il messaggio pubblicitario deve percorrere canali diversi e ogni canale ha il suo modo di esprimere lo stesso messaggio. Ok, sembra complesso, ma riprendiamo gli esempi di prima: una campagna lanciata da Nike o Apple avrà diversi tipi e disposizioni di testo in base alla destinazione. Inventare il testo dello spot Youtube è diverso dallo scrivere il menù dell’app, così come è differente dal creare uno slogan per il manifesto in metropolitana. Che il prodotto da commercializzare sia lo stesso, non importa.

Esistono poi diversi tipi di copywriting, come quello SEO oriented ed il micro-copy (o UX writing) che necessitano di una conoscenza approfondita delle piattaforme web. Acquisire competenze digitali aiuta un bravo copy a moltiplicare le opportunità di carriera.


Ops si prende cura delle tue parole perchè ne riconosce il valore

La scelta dei testi, esattamente come quella delle immagini, decreta il successo o il fallimento di una campagna pubblicitaria. In Ops abbiamo imparato che il lavoro di agenzia funziona solo se art director e copywriter sono seduti nella stessa stanza. Perché non si tratta solo di scegliere le parole giuste, ma anche di saperle posizionare nel modo giusto e con il font giusto. Bisogna, inoltre, conoscere ogni aspetto dell’azienda o del brand da promuovere, affinché il messaggio sia appropriato e con il giusto tone of voice.

Nel libro La parola immaginata, tra i testi “sacri” per ogni copywriter italiano, Annamaria Testa scrive:

La comunicazione deve essere espressa in modo convincente ma, soprattutto, accattivante. Credo che i messaggi autoritari non servano e che possano anzi riuscire dannosi: il consumatore probabilmente si rivolge più volentieri a quei prodotti che gli offrono il piacere di scegliere, piuttosto che a quelli che gli impongono l’obbligo di comprare.

Sempre secondo Annamaria Testa, alcuni messaggi troppo invasivi, ricattatori o terrorizzanti, possono attivare il meccanismo della rimozione, cioè condurre il destinatario di un segnale sgradevole a ignorarlo o dimenticarlo.

Il nostro lavoro serve proprio a questo: evitare che frasi vaghe, fuorvianti, abusate o prive del giusto significato, possano rovinare la reputazione di un brand. Insomma, non è una semplice citazione: per Ops, le parole sono importanti, sul serio.