Neologismi, fusioni, alterazioni, anagrammi, giochi linguistici: sono quasi infinite le possibilità per inventare un nome di successo. Il naming, ovvero la scelta di un nome per il proprio marchio, è un processo imprevedibile. A volte, è così spontaneo da sembrare un’opzione scontata, altre un cammino tortuoso che necessita di tempi, riflessioni, tentativi. Basti pensare che esistono agenzie pubblicitarie che si occupano soltanto di questo. Di seguito qualche esempio sul perché un nome giusto può fare la differenza.

 

Associazioni e suoni, se il nome non ha senso ma funziona

 Prime versioni di packaging (da tarses.com)

Nel 1960, il proprietario della Senator Frozen Products, Reuben Mattus, decide di creare una nuova linea di gelati. Si tratta di un’azienda del Bronx che produce gelati artigianali, ispirandosi alle tradizionali ricette europee che si differenziano molto da quelle di moda, in quel periodo, negli USA: meno zuccheri e additivi artificiali, più grassi naturali grazie a uova e panna fresca. La Senator Frozen Products non ha però un nome che identifichi la sua mission aziendale, per questo la concorrenza sul mercato è altissima. Per esprimere la sua vocazione “europea”, Mattus chiama una delle sue linee Gelati Ciro’s: i risultati sono incoraggianti ma non abbastanza, poiché l’uso del genitivo sassone unito ad un nome italiano è già diffuso nella ristorazione.

L’unione dei concetti di “europeità” e “freddo”, per Mattus rappresenta un rimando chiaro ai paesi scandinavi: gli serve un nome che faccia credere agli americani che il suo prodotto non abbia origini americane. Sceglie così il celeberrimo Häagen-Dazs, che però non ha alcun significato: i digrammi äa e zs sono inesistenti in qualsiasi idioma scandinavo. Per rafforzare l’immagine del brand, i primi vasetti di gelato raffigurano una cartina stilizzata con un tracciato che collega Copenhagen ad Oslo. L’operazione viene giustificata come forma di tributo alla Danimarca, salvatrice di un gran numero di ebrei dalla persecuzione nazista.

 

Nascita e tramonto di Cadabra

Jeff Bezos nel primo studio di Amazon

Cercando su Google, sarà capitato anche a voi di imbattervi in questa foto. È il primo scatto che immortala un giovane Jeff Bezos, quando ancora tutti i processi contabili e

operativi di Amazon si svolgevano in uno studio di Seattle. Il nome del marchio è scritto con una bomboletta spray su un pannello di plastica. Nessuna risorsa economica va sprecata, nemmeno per “decorare” l’ufficio da cui Bezos e la moglie MacKenzie gestiscono le spedizioni.

In pochi sanno che il re degli e-commerce nasce sotto un altro nome. Nel 1994 Amazon si chiama Cadabra. È un termine che richiama l’antica formula dei maghi e che dovrebbe, in teoria, rimandare a quel senso di “magia” che l’azienda propone con il suo servizio. Eppure, per quanto Cadabra possa avvicinarsi all’idea di “far comparire un pacco a casa tua”, la sua pronuncia inglese è cacofonica e, se non ben scandita, può confondersi con “cadaver” (“cadavere”). È lo stesso legale di Bezos, nel 1994, a convincerlo dell’inadeguatezza di quel nome prima di registrare il marchio della società. Dopo un’attività di brainstorming durata alcuni mesi, in cui Jeff e MacKenzie scartarono parecchie alternative (Browse, Bookmall, Relentless) l’intuizione arriva per caso.

 

Un nome a portata di enciclopedia

Bezos vorrebbe che il suo e-commerce avesse un nome che comincia con la A. Vuole comparire ai primi posti degli elenchi online e offline, da qualche giorno riflette sull’aggettivo Awake (sveglio), eppure non lo convince fino in fondo. Allora prende l’enciclopedia ed inizia a sfogliare, fino a trovare il paragrafo sull’Amazon River, il Rio delle Amazzoni. Per Jeff non ci sono più dubbi: Amazon comincia con la A, ha un bel suono, si ricorda facilmente perché lo conoscono tutti. Inoltre, il Rio delle Amazzoni non è solo il fiume più lungo del mondo, ma stacca anche di parecchio il secondo in classifica, il Nilo, per circa 400 km.

La scelta racchiude la visionaria aspirazione di Bezos: essere leader indiscusso del settore, distaccare chiunque per numeri, fama, copertura geografica. È il novembre del 1994 e il destino di Amazon è già scritto nel suo nome.

 

Nel freddo della Scandinavia: ad ogni prodotto il suo nome

Ingvar Kamprad (Indipendent.com.uk)

“I” come Ingvar, “K” come Kamprad, “E” come Elmtaryd, il nome della fattoria in cui è nato e “A” come Agunnaryd, il villaggio svedese nel quale è situata la fattoria: IKEA nasce come un gioco di iniziali messe insieme dal 17enne Ingvar Kamprad che, nel lontano 1943, sceglie di fondare una piccola attività dedicata alla vendita di oggettistica a basso costo. Ingvar vende penne, fiammiferi, orologi, bustine di semi e decorazioni varie per quasi dieci anni prima di includere nel proprio assortimento i noti mobili.

L’attività di marketing relativa al naming dei prodotti diventa un segno distintivo dell’azienda. Nel catalogo ogni linea viene è caratterizzata dall’uso di nomi legati alla Scandinavia, come luoghi, fiumi, laghi, isole, termini nautici e marinareschi, flora marina e lacustre, tutti strettamente riconducibili a Norvegia, Danimarca e Svezia.

Ancora oggi, in qualsiasi Paese del Mondo, un cliente Ikea sa che ogni prodotto acquistato avrà il suo nome “complicato” che lo renderà unico e diverso da tutti gli altri.