Secondo l’EPIC (Equal Pay International Coalition) a parità di lavoro svolto, le donne continuano a guadagnare il 20% in meno rispetto ai colleghi maschi. Hanno il 30% di possibilità in meno di entrare nel mondo del lavoro e neanche un terzo delle lavoratrici raggiunge posizioni di vertice nell’arco della carriera.

Questa tendenza, esacerbata dall’avvento del Covid-19, ha indotto l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (OIL) ad istituire una Giornata internazionale per la parità di retribuzione. Si tiene il 18 settembre di ogni anno e questa è la sua seconda ricorrenza.

Disparità retributiva di genere Italia e nel mondo         

Fa riflettere il fatto che solo da un anno, qualcuno si sia preso la briga di istituire una Giornata Internazionale per il dibattito sulle diseguaglianze salariali di genere. Eppure è un punto di partenza non trascurabile, perché l’International Labour Organization ha inserito il tema nell’agenda del programma “Lavoro dignitoso e per lo sviluppo sostenibile”. La deadline è fissata per il 2030.

Secondo il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres “è necessario che entro questa data tutti gli esseri umani siano in grado di vivere una vita dignitosa libera da povertà, fame e diseguaglianze, e che tutti gli uomini e tutte le donne, le ragazze e i ragazzi siano in grado di sviluppare appieno il proprio potenziale.”

Ad incidere sul gap mondiale non sono solo i dati dei paesi poveri o in via di sviluppo. In Italia la differenza in busta paga fra uomo e donna è del 23,7%. La media europea è del 29,6% (fonte Eurostat 2020) e questo sembrerebbe confortante. In realtà si tratta di un dato “falsato” dalla percentuale di occupazione femminile, che nel nostro Paese è più bassa.

Nella fascia di età che va dai 15 ai 64 anni, le italiane con un impego effettivo rappresentano il 50,1%. In pratica, al Nord lavorano circa 64 donne su 100, al Centro 57, al Sud solo 33.

Cos’è la segregazione occupazionale

Molte donne svolgono lavori con contratti part-time, raramente per libera scelta. Spesso il motivo nasce dalla necessità di badare a figli e famigliari, di far fronte alle incombenze domestiche, dalla mancanza di servizi o per imposizione aziendale. A volte, sono impieghi a bassa retribuzione e con poche prospettive di carriera, ma comodi perché garantiscono vicinanza alla casa, orari di routine e assenza di trasferte.

È forse questo circolo vizioso che non permette alle donne di emanciparsi dalla segregazione occupazionale. I dati Istat dimostrano che più dei due terzi dell’occupazione femminile è concentrato in 7 settori. Se prima questa tendenza era una mera conseguenza economica (nell’Ottocento alcune mansioni erano riservate solo alle donne per risparmiare sui costi) ora è diventata una questione culturale. Resta radicata l’opinione che certi lavori siano più adatti agli uomini, nonostante non vi sia alcun presupposto biologico o scientifico. Questa tendenza non dipende dal livello d’istruzione, tutt’altro.

Le donne hanno raggiunto, a partire dai primi anni 2000, la maggioranza dei laureati (oltre il 52% nel 2009 – fonte Enciclopedia Treccani) e il loro tasso di abbandono scolastico è inferiore a quello degli uomini. Ma la loro presenza resta concentrata principalmente nel campo dell’insegnamento, nel settore letterario e in quello linguistico. Il numero di lavoratrici si attenua drasticamente passando all’area medico-scientifica e agraria, per crollare del tutto in quella ingegneristica.

Ciò si riassume in un ultimo e triste dato: nel nostro Paese, ad occupare posizioni dirigenziali sono, per oltre il 70%, uomini.

Gender pay gap, ripartire dal post pandemia 

Esiste un termine coniato dai paesi anglofoni per indicare i danni che il Covid ha causato ai livelli occupazionali femminili: Shecession, dall’unione di “she” e “recession”, è a metà strada tra un nome e uno slogan.

Il 2020 è stato disastroso per tutti, ma per le donne ancora di più. Se fino al 2019, dai dati del Global Gender Gap Report, la previsione per il superamento del divario retributivo si attestava in 99,5 anni, dopo la pandemia slitta a 135,6 anni. Anche in Italia, il 70% dei 444mila occupati in meno registrati nel post Covid, sono donne.

Tra le associazioni impegnate nella lotta alla disuguaglianza salariale di genere, Valore D è la prima a contare oltre 230 aziende affiliate. Nasce dall’incontro di 12 manager, quasi tutte donne, e dal 2009 si batte affinché si consolidi anche in Italia una cultura della trasparenza sui temi delle retribuzioni. Per Valore D, i dati Eurostat sul gender pay gap non sono affidabili. Il motivo è che le aziende private continuano a diffondere informazioni poco chiare sulle tipologie di contratti. L’ipotesi quindi, è che il divario sia ancora più ampio.

Per informare e smuovere l’opinione collettiva, Valore D organizza webinar e workshop aperti al pubblico, ma non è la sola. Nel 2009 è nata anche InGenere, la rivista online di informazione, approfondimento, dibattito e proposte su questioni economiche e sociali, analizzate in una prospettiva di genere. Al progetto lavora un team di economiste, giornaliste, ed esperte di comunicazione, oltre al comitato editoriale di docenti e ricercatrici. InGenere pubblica periodicamente analisi, report e studi italiani ed internazionali in materia di gender pay gap.

18 settembre 2020, una data da non dimenticare 

Per ironia della sorte, il 18 settembre 2020 non è stata solo la data del primo International Equal Pay Day. Lo stesso giorno se n’è andata Ruth Bader Ginsburg, icona del femminismo americano ed eterna sostenitrice dell’uguaglianza di genere. Dal 1993 era giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, il maggiore incarico possibile per un giurista.

Quando negli anni cinquanta Bader Ginsburg si era seduta per la prima volta in un’aula di Harvard, lei insieme alle sole 9 donne su 500 studenti, il professore le aveva chiesto: “Cosa ci fai qui, ad occupare il posto di un uomo?” Ruth ha tenuto a mente questa domanda mentre costruiva la sua carriera e ha continuato a farlo per tutta la vita. Fino a formulare la risposta che riassume tutta la sua battaglia e la consacra tra le figure più ammirevoli del nostro tempo:

Le donne appartengono a tutti i posti in cui vengono prese le decisioni.